GiurisprudenzaAnalogamente a quanto fatto nelle precedenti comunicazioni, proseguiamo con la disamina degli interventi della Corte di Cassazione in tema di gestione del rapporto di lavoro.

In particolare, vale la pena evidenziare le seguenti massime che si riportano pressoché integralmente:

  • ai fini della validità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha l’onere di provare, non solo la soppressione del reparto o della posizione lavorativa cui era adibito il dipendente licenziato, ma anche l’impossibilità del suo c.d. repechage ovvero di una sua utile riallocazione, tenuto conto della sua professionalità specifica, in altra posizione lavorativa e/o in altra dipendenza aziendale analoga a quella venuta meno;
  • l’omissione della visita medica di idoneità alle mansioni costituisce un colposo e grave inadempimento del datore di lavoro di per sé idoneo a legittimare il rifiuto del lavoratore di prestare la propria attività lavorativa.

Quanto sopra, per non avere il datore adeguato la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate;

  • lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.

Inoltre, l’espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un’effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che dev’essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato;

  • nei procedimenti disciplinari risulta irrilevante la mancata adozione della sospensione cautelare vista la sua natura facoltativa e di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto;
  • il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’ art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore; ne consegue che non è sindacabile, nei suoi profili di congruità ed opportunità, la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato.
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